Porsche 917K


A metà degli anni '60, Ford e Ferrari si contendevano la vittoria a Le Mans con auto molto avanzate e potenti, progettate quasi esclusivamente per questo circuito, mentre le vetture messe in campo dalla Porsche erano equipaggiate con motori che erano strettamente derivati dai modelli stradali, che meglio si adattavano su piste strette e nervose. Alla fine de ’67, si ebbe un cambio di regolamento, con la nascita della categoria Sport: Gr4 fino a 5000cc e Gr6 fino a 3000cc. Per correre nel Gr4 era necessario realizzare 50 vetture in un anno, ma solo due auto avrebbero rispettato questa regola: la Lola T70 e la Ford GT40. Sotto la pressione degli altri costruttori quindi, il numero fu ridimensionato a 25.

Con meno di dieci mesi a disposizione per la 24 Ore di Le Mans del 1969, alla Porsche si decise di progettare una nuova vettura, con l’obiettivo di portare la casa di Stoccarda alla vittoria assoluta. Secondo alcune fonti, la Volkswagen finanziò circa i 2/3 dei costi del programma, con la sola condizione che la Porsche avrebbe mantenuto l'uso di motori raffreddati ad aria anche sulle auto da competizione, al fine di promuovere il motore che Volkswagen montava sulle auto commerciali.


Partendo dalle esperienze maturate con la 908, per la nuova vettura (si chiamerà 917) si fece ricorso ad una drastica riduzione dei pesi: il telaio fu realizzato in alluminio (pesava solo 46 kg ed era costituito con tubi di 5 diversi diametri e spessori) e le molle delle sospensioni in titanio. Il pomello del cambio era in legno di balsa e la carrozzeria in fibra di vetro. La scatola del cambio era in magnesio, così pure la cremagliera dello sterzo.

Il cuore della 917 era il suo nuovo motore derivato dall’unione di due unità da 2200cc a sei cilindri della 911 R, con una cilindrata totale appena inferiore ai 4.5 litri per 520Cv (la 908 ne erogava “appena” 360). Sebbene questo boxer fosse relativamente corto, era ancora piuttosto ingombrante e per rispettare il passo, l’abitacolo fu spostato in avanti, mentre sul cofano posteriore venne praticata un’apertura per aspirare l’aria necessaria al raffreddamento (un’apposita ventola sulla parte alta del motore aspirava 144 litri/minuto al 90% dei giri, assorbendo 17CV e forniva circa l'80% del raffreddamento, mentre il resto era affidato ai 21 litri di olio).



Dopo la presentazione al salone di Ginevra del 1969, gli ispettori per omologazione visitarono la Porsche, constatando che solo 18 vetture erano state assemblate e si rifiutarono di omologare la 917 se non fossero state approntate le 25 macchine previste da regolamento. Così, nelle tre settimane successive (usando la manovalanza di segretarie e impiegati) le vetture vennero completate ed allineate sul cortile della fabbrica. Fu un grande risultato, considerando che solo il motore richiedeva 160 ore di lavoro. Ironia della sorte l'unica vera concorrente della 917, la Ferrari 512-S, fu omologata un anno dopo, con solo 17 esemplari completati al momento della visita degli ispettori.


Ma quanto sembrava funzionare alla perfezione sui tecnigrafi, non funzionò così bene in pista, almeno al debutto. La 917 era terribilmente difficile da guidare, e sembrò che tutti quei cavalli fossero troppi per una struttura così leggera. Dopo queste prove, alla prima gara (1000 km del Nürburgring) tutti i piloti ufficiali del team preferirono correre con la vecchia 908. Solo David Piper (ex pilota Ferrari e ingaggiato all'ultimo minuto) corse con la 917, che condusse con estrema prudenza finendo ottavo. Alla Porsche si cercò freneticamente di capire cosa causasse le imprevedibili e pericolose caratteristiche di guida della 917, ma nessuna soluzione venne trovata; si continuò a ragionare sul fatto che a Le Mans, con i suoi lunghi rettilinei, la macchina sarebbe migliorata. Tre auto vennero iscritte, e la pole fu conquistata da Ahrens/Stommelen. Ma al via ci fu l’incidente mortale che coinvolse uno dei piloti che correva con la 917 (da questo momento in poi, venne meno la tradizionale partenza con i piloti che raggiungevano l’auto con uno scatto di corsa); le due vetture rimanenti continuarono e guidarono la gara per un po', ma poi si ritirarono. La Ford GT40 batté nuovamente la Porsche 908, ma per soli 2 secondi, il margine più ristretto di sempre.




Per il 1970 la Porsche decise di lasciare la gestione delle 917 ad alcune squadre private, che comunque sarebbero state supportate dalla fabbrica: Martini Racing, JWA Gulf Racing e Porsche Salzburg. Proprio alcuni ingegneri del team JWA osservarono che non c’erano insetti spiaccicati sull’ala posteriore e ritenendo che il flusso aerodinamico non fosse ottimale, senza troppi indugi accorciarono ed alzarono la coda: un’azione drastica che cambiò la carriera sportiva della 917.


Le auto divennero 917K (K come Kurzheck, “coda tronca” in tedesco). Almeno venti esemplari originali furono trasformati in 917K e nel corso del1970 ne furono costruite altre 12. Grazie a questi cambiamenti e con un nuovo motore da 580CV, la “bestia” di Zuffenhausen diventa imbattibile e domina il Mondiale Sport Prototipi del 1970, conquistando vittorie a raffica: 24 Ore di Daytona, 1000 km di Brands Hatch, 1000 km di Monza, 6 Ore di Watkins Glen, 1000 km di Spa e 1000 km di Zeltweg.


Ma arriviamo alla 24h di Le Mans 1970: sono schierate 11 Ferrari 512S e 8 Porsche 917. La Ferrari sorprende tutti nelle qualifiche piazzando al secondo posto una 512S, ma in gara il ritmo non è altrettanto buono, e tre 917 prendono il comando ed allungano. Quattro Ferrari si ritirano perché coinvolte nello stesso incidente, perfino Ickx (re del bagnato) perde il controllo sotto la pioggia, ed alla fine sono Herrmann/Attwood che tagliano per primi il traguardo con la 917 rossa e bianca del team Salzburg, battendo la 917 Martini di Larousse/Kaussen. Finalmente arriva la prima vittoria assoluta per la Porsche. Al nono posto, una 908 equipaggiata di cinepresa e iscritta dalla Solar Production per girare alcune scene del film di Steve McQueen “La 24h di Le Mans”



Subito dopo la gara francese la Ferrari iniziò la progettazione della 512M più leggera e potente. Sebbene risultasse più pesante e meno potente delle Porsche, il design del telaio era più avanzato e complessivamente si dimostrò all’altezza delle tedesche. Nel finale di stagione a Kyalami, una 512M privata vinse con due giri di distacco sulla 917. Sorprendentemente, la Ferrari abbandonò ogni sviluppo della 512M a favore della nuova 3 litri, la 312PB, lasciando i clienti privati al loro destino.






Gli esperimenti sulle varie configurazioni di carrozzerie proseguirono per tutto il 70/71. La versione finale del coupé (ormai perfezionata aerodinamicamente) è stata la grossa 917/20 che corse a Le Mans nel 1971. Contemporaneamente agli studi aerodinamici, vennero sviluppati anche i motori, che a fine carriera erogavano oltre 600 CV.


Anche nel 1971 la Sport tedesca domina il Mondiale: vince la 1000 km di Buenos Aires, porta a casa la 24 Ore di Daytona, la 1000 km di Monza e la 1000 km di Spa (gara di debutto del nuovo motore 4.9 da 630 CV), trionfa alla 12 Ore di Sebring e sale sul gradino più alto del podio della 1000 km di Zeltweg

La seconda vittoria consecutiva alla 24 Ore di Le Mans della Porsche 917 arriva grazie all’austriaco Helmut Marko e all’olandese Gijs van Lennep, con una straordinaria media sul giro battuta solo nel 2010 dall’Audi…!


La 917 più avanzata tecnologicamente sulla griglia di partenza, è stata quella del team Martini, l'unica con un telaio in magnesio.






Questa 917, fotografata ad Imola, porta telaio 008 ed è quella schierata a Le Mans nel 1969, affidata all’accoppiata brittannica Elford/Attwood che la condusse per 18 ore fino a quando i problemi della frizione non la costrinsero al ritiro. Nello stesso anno, fece parte del famoso test di Zeltweg che contribuì a risolvere i problemi aerodinamici e la 008 divenne la prima 917 “K”. Continuò a essere testata estesamente e corse al Nürburgring all'inizio del 1970. Dopo questa gara, l'auto è stata utilizzata come scorta dal Team JWA-Gulf fino al 1971. È stata poi smantellata e poco dopo venduta a Manfred Freisinger. L'auto fu ricostruita e venduta al collezionista svizzero Claude Haldi. Durante la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, è stata restaurata ancora una volta da Freisinger per il suo nuovo proprietario Gerard-Dantin Martin. Questi ha tenuto l'auto nascosta nella sua collezione per oltre 25 anni per evitare di pagare le tasse sulle plusvalenze. Dal 2018, l'auto fa parte della collezione privata di un monegasco.


La 917 raccontata da uno dei piloti che la fece crescere e vincere: Vic Elford:

«La vidi per la prima volta al salone di Ginevra, nel marzo 1969 - racconta Vic -. Emanava potenza e velocità anche da ferma: me ne innamorai subito. Il nostro primo vero incontro fu in prova sulla terribile Spa di 14 km e ne ricavai la sensazione angosciosa di una vettura fantastica ma instabile. Tanto che non volli guidarla neppure per la gara al Nurburgring. Però in vista di Le Mans pregai la dirigenza Porsche di darmene una, perché sapevo che sarebbe stata l’arma vincente. In fondo la 917 era nata per la 24 Ore, come la 908-3 per la Targa Florio. Loro volevano schierare solo un esemplare per Stommelen- Ahrens ma alla fine accettarono di metterne in pista un altro per me e Attwood. Ebbene, in prova ci furono polemiche per il flap mobile attivato dal movimento delle sospensioni, che la Federazione riteneva illegale e che poi permise perché altrimenti la 917 non sarebbe stata in strada. Risolto questo dettaglio, in corsa tutto divenne facile. Dopo Tertre Rouge c’era solo da mettersi sulla parte destra della strada e iniziare un’infinita serie di sorpassi. Al primo giro capii che lo sportello era stato chiuso male, ma mi guardai bene dal cercare di aprirlo. Ero a oltre 360 km/h, una dimensione sconosciuta per i piloti da corsa. Realizzai anche che il dosso di Mulsanne non poteva essere preso in pieno e così in rettilineo alzai l’acceleratore, calando di circa 70 km/h la velocità, visto che la lieve piega là davanti con la 917 si trasformava in un curvone. A parte questo, io e Attwood dominammo la corsa. A tre ore dalla fine avevamo 80 km di vantaggio sui secondi, quando il mio compagno tornò ai box con la frizione bruciata. Fine dei giochi. Ci consolammo con un’incredibile standing ovation del pubblico in tribuna. La gara l’avrebbe poi vinta la vecchia Ford Gt40 di Ickx, in volata sulla Porsche 908 di Herrmann. Per il 1970 l’accordo era di correre con la Scuderia Salisburgo, un’emanazione diretta della Porsche, con la nostra 917 in diretta concorrenza con quelle nei colori Gulf, schierate da John Wyer. La vettura era già allo step 2, con una configurazione a coda corta, che l’aveva definitivamente stabilizzata e resa sicura da guidare. Un dechappaggio di una gomma a Daytona e una collisione con una vettura più lenta a Sebring non furono un buon inizio, poi giunsi 2° a Brands Hatch con Hulme, che aveva sostituito per una volta il mio compagno abituale Ahrens, infortunato. Un altro dechappaggio mi avrebbe stoppato alla 1000 Km di Monza, dopo una lotta al calor bianco con le 917 Gulf. Quindi alla Targa Florio ebbi un grande privilegio: fare un giro in prova con il “mostro”: divenendo il primo e l’unico al mondo a girare con una 917, l’auto più veloce del pianeta, sul Piccolo delle Madonie, il tracciato più lento e affascinante. Ebbene, per tutto il giro non riuscii neanche a mettere la quarta: feci 72 km in seconda- terza! Ovviamente la 917 non disputò la gara siciliana, anche se in prova era risultata quarta assoluta senza mai mettere la quarta marcia. E siamo all’avvicinamento verso Le Mans 1970: Arriviamo da grandi favoriti, dopo il 3° posto a Spa sempre con la 917 e il trionfo al Nurburgring, stavolta con la 908-3 specialista dei tracciati più sinuosi. Alla Sarthe preferisco una 917 coda lunga e un motore 4,9 litri, mentre i miei compagni della Salisburgo, Herrmann e Attwood, vanno con una coda corta e un propulsore di 4,5 litri. Wyer invece schiera le coda corta e il 4,9 litri, la Martini la coda corta e un 4,5 litri. Per il resto poco da dire: nelle prime tre ore siamo in testa, poi una foratura e guai di maneggevolezza ci fanno scendere in classifica, ma la domenica mattina siamo ancora in lotta per la vittoria, quando il motore ci saluta. Peccato. E siamo al terzo e ultimo anno, il 1971, dove corro con la 917, nei colori Martini per cercare il trionfo a Le Mans: Ci arriviamo dopo aver vinto a Sebring con la 917 e al Nurburgring con la 908-3. A Le Mans in pratica guido per l’ultima volta la macchina e voglio vincere. In pista io e Larrousse siamo i più veloci e possiamo farcela, fino a che, credeteci o no, la nostra ventola di raffreddamento del motore si rompe, si stacca e vola tra gli alberi. Fine della faccenda». 




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